Punta Rasica (3.308 metri): fiera e bellissima vetta, sorgente nelle Alpi Retiche Occidentali, sulla linea spartiacque Zocca-Forno, vera roccaforte granitica a quattro facce, lambita da tre ghiacciai e sormontata da una svelta cuspide simile ad ardita torre di scolta. Così era stata descritta in occasione della sua prima conquista, avvenuta il 27 giugno 1892 per opera dello scalatore polacco A. Von Rydzewsky e di Christian Klucker, una delle più grandi guide alpine dell'epoca. Fin dall'inizio del secolo scorso la Punta Rasica è stata oggetto delle attenzioni degli Alpinisti della SEM, molto attivi in Valmasino e dintorni fino alla seconda guerra mondiale. In tale periodo furono realizzate ben 60 prime ascensioni tutte registrate sulle guide "Monti d'Italia", oltre alle molte ripetizioni e traversate di esplorazione. Alla Rasica spiccano le prime salite pionieristiche di A. Castelnuovo, E. Castelli, V. Bramani, E. Bozzoli, E. Castiglioni, E. Fasana che fece anche delle solitarie oltre a partecipare alle ripetizioni con altri alpinisti della SEM, e la nomenclatura è la seguente: 1906 A. Castelnuovo e A. Fiorelli - prima italiana e prima ascensione per parete ONO; 1907 E. Castelli, E. Moraschini e A. Rossini - prima ascensione nuova via per parete ONO; 1910 E. Fasana e P. Mariani - prima ascensione nuova via per parete ONO, prima cresta ESE (in discesa); 1935 V. Bramani e E. Bozzoli, C. Negri e A. Bonacossa - prima ascensione cresta SO (luglio); 1935 E. Castiglioni e A. Bonacossa - prima ascensione parete S (agosto). Ma in SEM c’era anche chi era stato respinto più volte dalla Rasica, già dal 1905, e per Antonio Omio fu una manna sapere che Bramani e Bozzoli proponevano la ripetizione di quella salita appena compiuta. Finalmente la possibilità concreta, a cinquant’anni suonati ma ben portati, di cancellare uno smacco che cercava di compensare con altre imprese senza però riuscire a rimuovere quel chiodo fisso dalla testa. Gioia che ebbe modo di confidare al commilitone Fasana, di due anni più giovane, anche lui raggiante perché ingaggiato dal genero Bramani a chiudere la sua cordata di punta con Pietrasanta e Ghiglione. Due veterani che per l’occasione di trovarsi insieme a scalare in montagna si era reinstaurata la condivisione, dopo quasi dieci anni di distacco, mentre per gli altri partecipanti era nella sperimentazione delle nuove tecniche di arrampicata, che destarono grande interesse ed entusiasmo negli alpinisti della SEM ed anche in alpinisti loro amici e conoscenti capaci ed affermati, e molte richieste furono rimandate ad altre occasioni. Ciò favorì l'organizzazione di una "spedizione” di 17 componenti in corriera più due indipendenti, entità che con la complicità delle condizioni meteo è stata la probabile origine dell’infausto epilogo. Il 14 settembre giunti a S. Martino, la comitiva di alpinisti della razza migliore si avviò alle 19 in Val di Mello e giunse alle 23 al Rifugio Allievi. All’alba del giorno successivo con il suffragio unanime di bel tempo, gli scalatori s’inerpicarono sgranandosi sul pendio raggiungendo il piede del versante Sud-Ovest della montagna. Trovando la roccia asciuttissima calzarono le pedule con suola di corda lasciando la maggior parte dei sacchi, tutte le piccozze, gli scarponi e indossando solo l’indispensabile. Erano tutti tranquilli e pronti ad affrontare le difficoltà del percorso classificato di 3° grado con un passaggio di 4° al termine. La cordata di punta, già menzionata precedentemente, apre le “danze” e così cominciò l’avventura di diciannove pigmei contro la Rasica, gigante immobile, il che faceva pensare a Gulliver che dorme mentre i Lillipuziani gli davano la scalata.
Ma tutto procedeva bene e le cordate sfilavano con regolarità incitate dallo straripante entusiasmo di Omio, ultimo della seconda guidata da Bozzoli, fino a quando l’itinerario volse sul versante del Torrone che portò ventate che soffiano su dal ghiacciaio e cominciano a strappar via brani di frasi alle cordate in movimento. I chiodi piantati da Bramani facilitarono il passaggio sicuro dei suoi seguaci riportandoli a cavaliere sui due versanti della Ràsica. Così arrivarono al brusco intaglio dove al di là si alza scarna l’estrema cuspide. Lì con una audace spaccata sul vuoto, appigliandosi poi alla lama della cuspide, con una giravolta verso la parete passarono in opposizione per giungere in cima. Scesero poi in doppia venendo avvolti da una sottile, gelata, caparbia polvere d’acqua, con una repentina diminuzione della temperatura.
Gulliver si è svegliato: il gigante non dorme più. Incrociarono Bozzoli, compagni e Omio raggiante di essere prossimo alla meta tanto agognata ed incurante del meteo disse: "son tanti anni che attendo questo momento, questa volta non è un sogno". Ma lo scenario che la luce spettrale gli presentò era sconfortante: la cuspide, nel gioco delle nebbie somiglia a una enorme mascella sdentata e sogghigna: "Tu mi vuoi; ebbene vieni, vieni dunque!’’. Omio non esitò e poté finalmente raggiungere il vertice della cuspide. Ma fu l’ultimo a poterla “calcare per l’ora tarda: erano già circa le 13, e la posizione delle altre cordate non lo consentiva in tempo utile: era iniziata la pioggia con anche grandine. Condizione che consigliò Vitale di provare la discesa per la via Castelnuovo o altra variante, ma purtroppo senza riuscirci. Se fossimo soltanto noi impegnati nella dura partita alle 15 massimo giungeremmo in porto, al rifugio. Ma l’ora che incombe ci vuole al nostro dovere. Quando tutti saranno scaglionati in parete e anche la ultime cordate avran serrato sotto, allora sarà il momento buono di dare il via alla complicata manovra d’assieme che farà sbarcare le cordate una dopo l’altra, oltre la crepaccia periferica. Nel frattempo tutte le cordate si erano riunite sulla sommità, prima della cuspide, ed alle 15 iniziò la lunga discesa resa più difficile per la quasi nulla visibilità. Le ore correvano veloci mentre le cordate erano sempre più lente, anche per l’insorgere dei primi malesseri dovuti principalmente alla bassa temperatura, allo sfinimento ed al timore dell’ignota conclusione esistenziale. Presto, alla già ridottissima visibilità causata dalla tormenta scatenatesi nel frattempo, giunse la sera e poi la notte: una notte di tregenda. In queste difficili condizioni di precaria sopravvivenza le tempre meno forti si arresero soccombendo alla fatica, al penetrante gelo per le inadatte calzature ed all’esiguo abbigliamento, oltre alla mancanza di nutrimento ed idratazione.
L’inevitabile conseguenza fu la dipartita di:
Del Grande Mario - Guidali Vittorio - Marzorati Giuseppe - Omio Antonio (nella foto) - Sangiovanni Pietro - Verga Nella; per la loro passione, con la loro passione.
Di tutti loro dissero: in novissimo die resurrecturi, cioè destinati a risorgere l'ultimo giorno, ed in ottobre 1935 la Rivista Mensile del CAI ne pubblicò le “laudatio” a firma di diversi autori, mentre Lo Scarpone pubblicò la cronaca della vicenda e delle esequie a Milano.
Nell’arco di due mesi (14/07- 15/09/1935) la Punta Rasica fu teatro di "conquista" e tragedia, consumata sotto gli occhi dei protagonisti: ALLAN GIORGIO, BARZAGHI RINO, BOZZOLI ELVEZIO, BRAMANI NELIO E VITALE, DEL MORO MATTAI, DE LORENZI PIPPO, FASANA EUGENIO, FERRARI RENATO, GELOSA MARIO, GHIGLIONE PIERO, PIETRASANTA NINI’, ZANETTI PIERO, che non poterono impedire il tracollo dei compagni, nonostante ogni umano sforzo. É opinione di molti che quella tragica esperienza abbia portato Vitale Bramani ad inventare, col supporto di Pirelli, la suola collaudata nel 1937 sulla parete nord-ovest del Pizzo Badile con Ettore Castiglioni. In occasione dell’ottantesima ricorrenza, questa rievocazione è stata liberamente tratta dall’opera del 1944 “Quando il Gigante si Sveglia”di Eugenio Fasana.
Fonte: La Traccia - Anno XVI - n° 95 - settembre 2015